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“Pronto?”
“Sì?”
“Ah, sì… salve… parlo con Porto decimo?”
“…”

Pillole di vita vissuta…
"Ognuno comincia, prima o poi, a intuire la  «via», cioè la sua propria profonda direzione nel cercare, nello scoprire, nello scegliere, nel desiderare...
Ma la perde subito appena pensa di averla "capita", di averla ben chiara davanti a sé.
La «Via», infatti, modifica continuamente chi la percorre....
A ogni passo lo sorprende: gli cambia il mondo, l'Universo  il colore della mente, il vento del respiro...
Così, paradossalmente, si è davvero su una «Via» quando si sta andando verso non si sa dove, coraggiosamente, fiduciosamente, e tutto intorno tra visibile e invisibile ci aiuta ad andare sempre oltre..."


Valentina Cidda Maldesi/Anabel
“Danzate, danzate, altrimenti siamo tutti perduti..."
Pina Bausch
 
Un magico week end dedicato alla “danza” a Porto X... ne usciamo grati e arricchiti...e sempre un po’ trasformati come sa trasformarci qualunque cosa vera a cui diamo il permesso di accadere...
 
“Dovremmo danzare di più nelle nostre vite, non danziamo abbastanza... dovremmo saper danzare sempre...”

Questo è il pensiero profondo, per me commovente, che mi accompagna da ieri sera, dopo l’emozione di aver rivisto, dopo anni, al nostro miniCinemaX di Porto X, il bellissimo film documentario di Wim Wenders “Pina” sull’arte di Pina Bausch...
 
La frase di Pina che chiude il film, “Danzate danzate, altrimenti siamo tutti perduti”, mi è penetrata nell’anima con una durezza dolcissima e una limpidezza straziante...
“Quanto è vero!” mi sono detta...
E non parlo della danza come arte espressiva in sé, che pure può essere una sublime manifestazione fisica della Danza a cui mi riferisco, io parlo della Danza dell’Universo a cui tutti apparteniamo...
 
L’Universo danza.
Danzano le galassie, le stelle, danza la terra intorno al sole, la luna intorno alla terra e così danzano le stagioni, le albe e i tramonti, le correnti dei mari e le viscere della terra nei loro assestamenti, danzano gli stormi di uccelli, danzano gli atomi, danzano gli elettroni nelle loro orbite, danzano onde e particelle tutte, il suono e la luce, danzano le cellule nei corpi vivi, danzano predatori e prede nell’equilibrio della vita, danzano le anime tra le dimensioni, danzano i cristalli di neve, la pioggia, i ragni che tessono le ragnatele e la rugiada che le illumina al mattino, danzano gli alberi densi di nidi e di ali danzanti tra la terra e il cielo, danzano le api sui fiori, i fiori nel vento, il vento sul mondo... la danza è il respiro dell'Universo... la sua sostanza, il suo luogo, il suo modo...
 
C’è danza dove c’è presenza senza invadenza, ascolto senza prevaricazione, accoglienza e restituzione; c’è danza dove c’è equilibrio, armonia, energia pura che va e che viene, che prende e che da, che sente e risponde, che miscela i colori delle emozioni su una tela sapiente e non li confonde; c’è danza dove c’è leggerezza e profondità, solitudine e unione, fragilità e forza, contrazione ed espansione, visione e guarigione...
 
Quanto danziamo nelle nostre vite? Nelle nostre relazioni? Nelle nostre azioni? Nelle nostre scelte? Nelle nostre espressioni?
 
Quanto siamo capaci di essere davvero “presenti”, quanto siamo capaci di un silenzio profondo prima di parlare, di ascoltare davvero prima di rispondere, di offrire prima di difenderci, di sentirci e sentire, di distruggere e creare, di morire e rinascere ogni volta che è tempo? Quanto siamo capaci di accogliere invece che di sopportare, di trasformare invece che di pietrificare, di fluire invece di bloccarci, di aprirci invece di chiudere, di stare invece che di scappare, di vivere invece che di esistere... sappiamo farlo ad ogni respiro?
 
Lo domando a me stessa? E mi rispondo soltanto con un lungo sospiro del cuore e con questo pensiero che da ieri non mi lascia...
 
Dovremmo danzare di più nelle nostre vite... non danziamo abbastanza...e anche se sappiamo danzare tanto dovremmo saper danzare sempre...
 
E allora... danziamo, danziamo, perché per il tempo in cui non lo facciamo, che sia un minuto, un ora, un giorno o una vita, siamo perduti…

...e infinitamente grazie Pina, per il dono della tua Vita e della tua Arte.

Valentina Cidda Maldesi/Anabel
“ Tutto è energia e questo è tutto quello che esiste. Sintonizzati alla frequenza della realtà che desideri e non potrai fare a meno di ottenere quella realtà.
Non c’è altra via. Questa non è filosofia, questa è fisica”
(A.Einstein)

Pronti (o quasi) per il Viaggio che inizia da domani a Porto X:

Anatomia sottile dell'Essere
Viaggio attraverso la teoria e la Pratica dei Corpi Sottili
1-3 aprile
Nuova diretta da Porto X:
mercoledì 6 aprile, ore 21

per la serie...
"Dal vile al Nobile, ovvero... come trasmutare merda in Oro", Cap.4
con l’avvincente storia di due nuovi ospiti a sorpresa.

Ecco il link alla registrazione:

https://youtu.be/fN7863vdHS4
Le comode catene

Di Stefano Re

Io non credo che il bene e il male siano roba che sta là fuori e cui noi aderiamo, io credo che ciascuno di noi abbia la responsabilità ed il potere di definirli e attuarli nella propria esistenza. Vedo una enorme differenza proprio tra chi si assume questa responsabilità/potere e chi li rifiuta e li cerca di individuare soltanto fuori di sé, in entità, simboli o altri individui. 

Ritengo che una società sana e adulta debba essere composta di individui che assumono individualmente e senza remore queste responsabilità come proprie, non cedibili né mutuabili. L’esatto contrario della società da cui stiamo uscendo, che appiattisce l’individuo sui significati esistenziali dettati da una ortodossia comune travestita da “competenza” – o peggio ancora da “scienza”.
Il vile baratto

“Il sistema baratta costantemente la vostra autonomia con la vostra comodità. Le catene in cui vi chiude sono la sicurezza di un pensiero preconfezionato, lo svago di tecnologie del divertimento, l’obbedienza conformistica che vi toglie ogni responsabilità sulle vostre vite, sui vostri figli, sui vostri corpi, sulle vostre menti.
Persino molti di coloro che riconoscono il sistema come oppressivo, poi attuano questo stesso meccanismo fuori di esso. Lo fanno sposando pensiero manicheo, addossando la fonte di ogni male fuori di sé, agli altri, ai “cattivi” che tramano contro “i buoni” – senza accorgersi che così facendo non sono affatto usciti dallo schema che criticano, che ne stanno ricreando il processo fondamentale che toglie loro potere e responsabilità.
Potete liberarvi. Potete riprendere possesso dei vostri processi percettivi. Potete decidere della vostra realtà e della vostra identità.
Se volete farlo.”

Stefano Re
Chi è il Pirata?

L'enciclopedia Treccani ne propone solo significati con accezioni “negative”: colui che assalta navi o aerei e razzia territori, chi è un pericolo alla guida di un'auto, un hacker, oppure edizioni di libri, dischi o trasmissioni non autorizzate e così via....

Non ci accontentiamo e indaghiamo sull'etimologia del termine:

pirata (ant. pirato) s. m. [dal lat. pirata, gr. Πειρατής (peiratḗs), der. di πειράω (peiráō) «tentare, assaltare»] (pl. -i, ant. -e).

Quindi pirata viene dal greco peiráō che vorrebbe dire «tentare, assaltare».

Non ci accontentiamo e indaghiamo sui significati del verbo greco πειράω (peiráō).
Tra le tante fonti, ci capita di imbatterci nelle ricerche di un tale Franco Rendich, studioso poco convenzionale di lingue indoeuropee, secondo il quale:
«In greco l’azione di “passare attraverso” è espressa in senso concreto dal verbo peírō […], “trafiggere”, “attraversare”, mentre in senso figurato dal verbo peiráō, “sperimentare”, “provare”, “cercare” (ovvero “attraversare un problema” con la mente o con azioni ripetute allo scopo di trovare una soluzione)».

Iniziando già a godere di questa poco convenzionale accezione, ci esaltiamo quando sempre Rendich fa notare come πειράω (peiráō) abbia una duplice accezione, quella di “tentare” nel senso di “fare un tentativo”, “provare”, e quella di “tentare” nel senso di “mettere alla prova”, da cui ὁ πειράζων (ò peiràzon), “il tentatore”, per designare Satana, ma anche Dio quando tenta Abramo per metterlo alla prova: «ὁ θεὸς ἐπείραζεν τὸν Αβρααμ» (ò teòs epeirazen tòn Abraam).

E significativo ci sembra che tra le parole collegabili a πειράω (peiráō) ci sia non solo PIRATA ma anche EMPIRICO, da πεῖρα(pèira) = prova, tentativo, esperienza, qualcosa fondato sui dati dell'esperienza immediata e della pratica, non su leggi teoriche rigorosamente dimostrate.

Ci siamo, ci piace! Abbiamo trovato il nostro contemporaneo significato di PIRATA!

PIRATA come colui che “sperimenta, prova, cerca, ovvero attraversa un problema con la mente o con azioni ripetute allo scopo di trovare una soluzione, e infine tenta, ossia si fa “tentatore”, come il Diavolo, o come Dio...

E crediamo che in questo momento di Pirati così ce ne sia un disperato bisogno. E ancor più disperato il bisogno di essere noi stessi Pirati, sperimentatori, cercatori, assaltatori di idee, tentatori di visioni diverse e avvistatori di nuove terre del sapere e del fare in cui razziare fino all'ultimo granello di conoscenza, mettendo continuamente alla prova noi stessi e gli altri....

E ci piace l'idea di fare di Porto X un covo di Pirati di tal fatta. Per cui ci siamo detti, “Ma sì, perché no! Lasciamo periodicamente entrare in porto qualche Pirata contemporaneo per condividerne la sperimentazione, qualche Pirata da cui essere tentati al senso critico, e che abbia da mettere in condivisione scoperte e rivoluzioni di pensiero e di visione...

E il primo Pirata giunse inaspettatamente una domenica mattina a Porto X, mentre si faceva colazione sotto al primo caldo sole primaverile. Bastò veramente poco per avvertire quella sintonia in cui le idee si buttano giù da sole.
Questo Pirata si chiama Stefano Re, scrittore, esperto di criminologia applicata, divulgatore di metacomuicazione e arguto pensatore critico (per curiosare su di lui www.stefano.re), con il quale inaugureremo un ciclo di scorribande piratesche a Porto X per sperimentare, cercare, proporre, condividere ed essere tentati...

Per la serie “PIRATI IN PORTO”
sabato 30 aprile e domenica 1 maggio
Stefano Re a Porto X
in un doppio appuntamento

sabato 30 aprile
workshop formativo
METACOMUNICAZIONE e POTERE

domenica 1 maggio
FIGHT CLUB DAY
proiezione del film proposto da Stefano Re (“Fight Club” di D.Fincher) intorno al quale si avrà modo di condividere pensieri, musica e convivialità all'aria aperta.

A brevissimo maggiori dettagli...
Ci sta venendo una gran voglia di organizzare un bel festival di cultura russa… Pensiamo a letteratura e poesia, teatro, danza, musica, gastronomia, cinema, pittura… tanto per cominciare.
A voi, il programma dettagliato con tutte le info del prossimo arricchente accadimento a Porto X a cui suggeriamo vivamente di non mancare!!!

Pirati in Porto
Stefano Re a Porto X

Lucignano (Ar), in Toscana

sabato 30 aprile
METACOMUNICAZIONE e POTERE
workshop formativo
Durata: 8h di corso + 2h cumulative di pause e benefit (10h totali)
orario orientativo dalle 9:30 alle 19:30
Partecipanti
: min 15 max 30
Requisiti: età adulta, comprensione lingua italiana.
 

Comunicare non significa soltanto scambiarsi messaggi.
Comunicare... decide di che cosa si ha paura, che cosa  si desidera.
Decide cosa ci manca, per cosa lottiamo, e contro cosa lottiamo.
Decide chi amiamo, chi temiamo, chi rispettiamo - e a chi ubbidiamo.
Comunicare... definisce relazioni,  significati... Definisce la nostra realtà, il mondo in cui viviamo...
definisce la nostra identità: chi pensiamo di essere.
Succede sul lavoro, sui social, al bar, in famiglia, a letto. Costantemente, ovunque.
 
Tutto ciò avviene tramite regole precise e identificabili.
La metacomunicazione studia queste regole.

Ci sono solo due possibilità: o conosciamo queste regole, o vi ubbidiamo senza nemmeno saperlo.
 
Lo scrittore Stefano Re ci spiegherà, nel modo più semplice possibile, come funzionano queste regole, attraverso un corso che fornirà ai partecipanti strumenti di comprensione, identificazione e gestione di meccanismi metacomunicativi di base.

Sono previsti esercizi pratici di identificazione e gestione dei parametri metacomunicativi con l’ausilio di audiovisivi.




domenica 1 maggio

FIGHT CLUB DAY
convivialità, musica, chiacchiera e cinema

 
ore 12: Porto X apre le porte;
ore 12-15: musica live, gastronomia e beveraggio, e chiacchierata informale con Stefano Re che introdurrà alla visione del film;
ore 15:
proiezione al miniCinemaX del film “FIGHT CLUB” di David Fincher (1999; durata: 139 min)
17,30:
break aperitivo rifocillante;
18: chiacchierata confronto su e intorno al film, con Stefano Re, Valentina Cidda Maldesi e Valentino Infuso.

 
 
COSTI

Sabato 30 aprile

workshop “Metacomunicazione e Potere”: 85
Pranzo (opzionale, su prenotazione): 15 (bevande escluse)
Cena di fine corso (opzionale, su prenotazione): 25 (bevande inscluse)


Anche in questo caso adottiamo la filosofia usuale del non rendere l’aspetto economico un vincolo, e Stefano è d’accordo con noi rendendosi disponibile ad accogliere questa opzione:
chi fosse in difficoltà a scambiare la quota integrale può contattarci per proporci la propria quota disponibile (foss’anche simbolica) con la possibilità di mettere a disposizione proprie conoscenze o talenti da scambiare (foss’anche manovalanza presso il Porto😉). Ben accetto anche chi volesse versare oltre la quota base ovviamente…


Domenica 1 maggio
Intera giornata, film e dibattiito a seguire a ingresso libero (gradita offerta volontaria per lo sviluppo di Porto X; buffet, bibite e  aperitivo a parte).

C'è la possibilità per chi viene da lontano di pernottare a Porto X dal venerdì 29 a domenica 1 maggio (singola notte o weekend)

Per maggiori info 393.900.11.68, necessaria prenotazione.

http://www.stefano.re


Canale telegram di Porto X:

www.tg-me.com/Porto_X
Giovedì 14 aprile, ore 21:
diretta streaming dal covo di Porto X con Stefano Re!

"Confronto-scontro" a ruota libera su tutto ciò che, in quel momento, ci verrà di confrontare e scontrare... e stavolta, niente vino, solo ruhm!

Qui il link alla registrazione della diretta:
https://youtu.be/avRKpcFx1rM
Promemoria per il prossimo speciale appuntamento a Porto X
Tre tazze sbeccate

Ho tre tazze sbeccate, nella credenza.
Attendo di comprarne di nuove e intanto mi tengo queste. Meglio che niente!

Forse potrei ripararle, impreziosendole come si fa nella tecnica giapponese del kintsugi. Mi piacerebbe, ma non lo faccio, la mia attenzione e il mio tempo sono costantemente richiamati altrove. Sempre in altre prioritarie faccende affaccendato. E poi non so se ne sono davvero capace, rimarginare crepe con stucco e polvere d'oro mi sembra un'attività che richiede troppa dedizione, e poi dove si prende la polvere d’oro? No, faccio prima a comprare altre tazze. Magari più belle. Nel frattempo mi tengo queste sbeccate. Non posso buttarle, altrimenti come faccio a bere il tè? Meglio che niente!
Eppure, qualcosa mi rode dentro…

Continua…
seconda parte

E se invece le buttassi via? Ne rimarrei senza, certo, ma se questa fosse una chiave? Decidere, ora, di liberarmi delle tazze sbeccate. Ancora non ne ho acquistato di nuove ma voglio osare, voglio sperimentare. Magari le ragalo -ma a chi interessano tre tazze sbeccate-,  oppure le spacco, riducendole in tante piccole schegge da usare per la tombola a Natale (che da piccolo questo era il destino “ricicloso” di tanti piatti di ceramica che si rompevano durante l'anno: diventare vreccilli, brecciolini, ciottolini, con cui pericolosamente segnare i numeri al posto degli attuali fagioli, che ai tempi noi preferivamo destinare alla pentola e alla panza).

Insomma, me ne libero, correndo il rischio restando senza. “Certo, erano meglio quelle che niente!”, continua a ripetermi una vocina nel cervello. Forse questa vocina siete voi che state leggendo...
 
E ora? Che succede? Tecnicamente al momento non posso bere il tè. Ma intanto vedo che ho fatto spazio nella credenza. In verità ci metto poco ad accorgermi -dato che l'esigenza, in questo caso di bere il tè, è un grande motore all'invenzione- che posso bere il tè anche in un comune bicchiere di vetro, o un calice da vino, che fa più chic. Sembra una soluzione banale ma non lo è affatto. Anzi, osservare le sfumature di questo infuso attraverso la trasparenza bombata del suo novello inusuale contenitore -che bello quando si scopre un nuovo uso di una cosa destinata ad altro!- mi dona una certa piacevole voluttà. In più, ho fatto spazio! Non solo nella credenza, ma ho fatto spazio anche a nuove possibilità, al calice da vino per il tè per esempio. Ma non solo. Ho fatto spazio in me alla presa di coscienza che, in fondo in fondo, di tazze non ne ho veramente bisogno, facendo quindi a meno di andare a comprarne altre.
 
Lasciare spazio al niente.
Sembra facile, eppure di questi tempi è un lusso. Secondo stantie logiche produttive ormai ereditate e introiettate lo è. Si tratta di togliere, di rinunciare, non di aggiungere o incrementare. Sembra la cosa più naturale ma non lo è affatto, di questi tempi.
Ad essere onesti con noi stessi, quante volte durante un giornata ci concediamo di lasciare spazio, scegliendo il niente? Quante volente lasciamo che le cose accadano piuttosto che impegnarci per farle accadere a tutti i costi? Quante volte riusciamo a lasciare “il fare” a favore del “lasciar fare”?
Interveniamo costantemente,
ogni deviazione da un percorso illusoriamente prestabilito ci allarma: se c'è qualcosa che accade di non previsto ci sentiamo richiamati ad intervenire per riportare sulla “retta via” del nostro iniziale progetto, in una costante esasperata tensione alla “correzione” di qualsiasi devianza da ciò che consideriamo conforme a quanto prestabilito. E al tempo stesso, ci aggrappiamo disperatamente a ciò che ci resta e che non va, perché il vuoto che si crea nella scelta del niente ci atterrisce. E allora, meglio questo (che non va) che niente...
E se fosse meglio il niente?

Pur sapendo ormai che una cosa, una situazione, un legame, non è sano, in mancanza “di meglio” spesso preferiamo tenerci “questo peggio”, perché “questo peggio” è meglio che niente...
E se fosse meglio il niente?
 
Ho un lavoro di merda, vengo trattato da schifo, non sono soddisfatto, mi sentro reprimere nelle mie capacità e aspirazioni, e poiché “ho da pagare le bollette” -altro illusorio pretesto per giustificare la propria incapace accidia- mi tengo questo lavoro di merda perché meglio che niente!
E se fosse meglio il niente?
 
Ho un compagno, una compagna, un marito o una moglie -o un amante anche- con cui gioco al massacro quotidiano, in una dinamica tossica in cui siamo devastanti e devastati, vorremmo essere altrove ma... meglio che niente!
E se fosse meglio il niente?
 
Vivo in un appartamento in periferia, in un condominio dove devo fare attenzione a come mi muovo perché i vicini si lamentano, mi affaccio alla finestra e vedo solo cantieri, ma resto qui perché questo mi posso permettere e intanto... meglio che niente!
E se fosse meglio il niente?

Continua…
2024/11/05 23:26:03
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