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La suprema beatitudine buddhista (Paolo Vicentini)
da «Esodo», anno XXIII - nuova serie,

n. 3, luglio-settembre 2001, pp. 52-57
Vi è stata una lunga e radicata tradizione di pensiero in Occidente che ha interpretato il buddhismo come una dottrina pessimistica e nichilistica, negatrice del mondo e proponitrice di un annullamento, di un dissolvimento totale dell’individualità.[1] Solitamente poi, e curiosamente, questa interpretazione si accompagnava ad un’altra che poneva l’ideale di liberazione buddhista, ossia la realizzazione dello “spegnimento” o “estinzione” (nibbâna), come il risultato di un atto estremo di egoismo. Illustre rappresentante di questa tradizione fu Max Weber, il quale ancora negli anni Venti del secolo appena trascorso scrisse: ⤵️http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/buddhismo/supremabeatitudine.htm
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